Salvatore Manzi, Work in progress, 2007, Horror Vacui, azione, videoinstallazione, Palazzo Venezia, Napoli
Confermando la sua antica e risaputa fascinazione per la rete, l’artista individua nel suo funzionamento un meccanismo affine a quello della produzione umana del burnout: «Una volta che una pagina di internet viene visualizzata rimane in memoria e, se non si provvede a richiedere un aggiornamento, quando esso è effettivamente sopravvenuto, la pagina rimane così com’è per sempre. Anche noi, nel momento in cui perdiamo la capacità di aggiornare il nostro cervello, esso riproduce automaticamente degli schemi sempre uguali. In termini umani, così come in termini informatici, questo comportamento va ricondotto all’esigenza di perseguire una sorta di risparmio di energie. Non di meno i processi a cui assistiamo sono molto più complessi».
Sorta di cristallizzarsi della percezione dell’immediato, di interiorizzazione della teoria nietzschiana dell’ “eterno ritorno dell’identico”, il burnout costituisce dunque un ospite capace di penetrare un po’ in ogni luogo ed in ogni momento della vita. È perciò tutt’altro che privo di significato notare come la realizzazione di un video come Work in progress (2007), ove la messa in scena del “bravo impiegato” seduto ed inerte è accompagnata dalla lettura compassata di un elenco di norme che ne regolano il comportamento, periodicamente intervallata da implacabili commenti che ne evidenziano l’impostazione repressiva di fondo, coincida con il cambio di lavoro sopravvenuto. (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp.56-57) |
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