Zak Manzi (Salvatore Manzi), Watch out, 2003, DVD, 03.00, musica degli ATMAN
Un monologo di tre minuti in cui un malavitoso cerca di convincere il suo interlocutore a cambiare idea sul conto di un certo Silvio. Un invito dai toni gentili e rassicuranti ma che punta al paradosso.
Ma il video più direttamente connesso alla personalità di Silvio Berlusconi è senza dubbio Watch out (2003), nel quale la vicenda di un tale Silvio, che prima viene accusato di aver rubato e poi si vede d’improvviso revocata l’accusa, ricadente invece clamorosamente sull’accusatore originario, costituisce una fin troppo evidente quanto pesante allusione ai problemi giudiziari del premier in carica e, più in generale, ai dubbi sul coefficiente di disinteresse nella pratica quotidiana di governo che nutre nei suoi confronti una buona fetta del paese. L’identità dell’unico protagonista visibile ed udibile, un personaggio che, interpretato da Zak stesso, ha tutta l’aria, in ragione degli occhiali scuri che indossa, nonché dalle peculiarità della sua mimica e della sua parlata, di essere un boss della malavita organizzata, possiede un’insidiosa valenza subliminale.
TGwar e Watch out, preceduti peraltro dall’azione politico-creativa in rete Berlusconi bandito (2002), si inscrivono in quel clima di antiberlusconismo, tipico del periodo in esame, facente capopiù ad esponenti del mondo del giornalismo, dello spettacolo e della cultura – e non è superfluo peraltro notare per inciso come, pur potendosi leggere innanzi tutto come un tratto tipico dell’era postmoderna, l’intreccio e la confusione tra questi tre mondi trovi in Italia un territorio di peculiare sviluppo e in quegli anni, tra gli altri, una indubbia accelerazione – che ad esponenti politici. A leaders di una opposizione che si svolge più nelle piazze e nei teatri – dove si rifugia quando la televisione le è interdetta12 – che nelle aule del parlamento e che pone in primo piano le questioni della democrazia e della legalità. Paolo Flores D’Arcais, Paul Ginsborg, Sabina Guzzanti, Nanni Moretti, Francesco Pardi, Marco Travaglio sono solo alcuni dei protagonisti di questa stagione. Considerando l’attuale situazione politica italiana, che nel giro di pochi anni risulta per certi versi radicalmente mutata e per certi altri fin troppo simile a quella dei primi del decennio, i meriti, ma soprattutto i limiti di tali pratiche d’opposizione appaiono ormai abbastanza lampanti. Senza dubbio l’azione dei girotondini – così chiamati a causa della loro tipica modalità di manifestare – rappresenta una logica conseguenza del deficit di pluralismo di cui l’informazione soffre, dando voce ad un bisogno diffuso, ma inappagato. Va loro riconosciuto l’impegno profuso nel tentare di arginare, almeno su certi temi, le continue tentazioni di rilassamento che, malgrado i proclami, interessano gran parte dell’opposizione parlamentare, benché tale impresa, alla luce di un bilancio stilato ex post, risulta quasi totalmente fallita. D’altra parte, al di là dell’apparente massimalismo di certi atteggiamenti – o meglio dell’accusa strumentale di massimalismo proveniente dai berluscones –, non ci si può facilmente ingannare. Nel loro sistema di valori non è riscontrabile il benché minimo spunto di visione autenticamente alternativa della società rispetto a quella plasmata dal neoliberismo planetario. È così che il berlusconismo, dopo una breve momento di appannamento, torna a regnare sull’Italia del 2008 in una posizione più solida che mai. Il suo processo di espansione non ha inizio semplicemente con fondazione di Forza Italia del 1994, ma già con la nascita delle TV commerciali verificatasi oltre dieci anni prima. Oggi l’influenza di tale prototipo, socioculturale prima che politico, si spinge, che vi sia consapevolezza o meno, ben al di là del Popolo della Libertà. (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 41-42) |
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