Peppe Irace e Salvatore Manzi, Wall Paper, opere e artisti assenti, 1997, azione, installazione, Casa Scognamiglio, Salita Petraio, Napoli
Nel 1997 Salvatore organizza con l’artista Peppe Irace, allora direttore ed editore di “MealtingPot”, periodico assai attento all’arte giovane e sperimentale che si produce a Napoli in quegli anni, nonché molto vicino a Sgambati ed ai suoi ragazzi, la mostra Wall paper. I convenuti al vernissage, dopo aver scalato le interminabili rampe del Petraio, trovano infatti il portone di Casa Scognamiglio, sede della mostra, dipinto come la locandina, ma irrimediabilmente chiuso: gli artisti e le opere sono assenti e agli spettatori non rimane che appuntarsi l’indirizzo internet posto affianco al citofono e tornare a casa per connettersi e trovare un testo sull’assenza dell’autore scritto da Peppe e Salvatore. Si tratta della prima autentica messa in pratica di tale teoria, nonché della prima mostra “fantasma” di Salvatore-Zak.
Successivamente i due cominciano a pensare ad un secondo atto da intitolarsi Wall Paper Japanes: cento giapponesi circa occuperebbero lo spazio espositivo, mentre un’operatrice turistica inviterebbe gli spettatori ad intraprendere un viaggio in Giappone fornendo loro tutte le informazioni. Nell’immaginario occidentale il giapponese è colui che venendo in Europa è ansioso di fotografare tutto ciò che vede, sorta di illusoria valvola di sfogo per far fronte ad una brama inappagabile di possesso, ma in questo caso, non essendoci le opere – né gli artisti, che non vi si recherebbero – non potrebbero fare altro che fotografarsi tra di loro. Purtroppo, per motivi logistici, l’operazione non viene mai realizzata, tuttavia nel corso dell’anno successivo (1998), proprio durante la progettazione grafica dell’invito di Wall Paper Japanes, si situa il curioso episodio che, come più volte avviene nel percorso di Salvatore-Zak, appare quasi un segno del destino: il computer va improvvisamente in tilt ed al posto di “Salvatore” compare scritto “Zak”. Per Irace va bene così: “Zak” è mille volte più efficace! «Da quella mostra in poi», ricorda l’artista, «cominciai a firmarmi “Zak”». (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 20-21) |