Salvatore Manzi, PRIMA DI ME, a cura di Stefano Taccone, EVENTITRE, Napoli, settembre 2015 (Foto di Danilo Donzelli)
L’antica tendenza al rifiuto non solo di un’autorialità forte, ma proprio del lavoro artistico stesso come atto, ridotto ad un coefficiente minimo; la figura etica e spirituale della lacerazione sulla quale la guarigione appone il suo balsamo chiaro conservando nondimeno la traccia dell’originaria frattura; l’evidenziazione di ciò che non viene messo in scena, ed anzi va occultato, eppure è l’a priori e l’a posteriori di ogni esposizione, quasi sviluppando nuove, ancora mai esplorate, soluzioni della critica istituzionale classica: sono questi i motivi che confluiscono nella nuova mostra personale di Salvatore Manzi “Prima di me”, un’operazione che parte dai segni incidentali, involontari, inestetici, che però si incontrano in ogni contesto espositivo che possieda un minimo di storia, per assecondarli trasformarli in un macrosistema spazio-visivo attraverso il risalto luminoso del giallo, versione impoverita dell’oro, carico di immaginario sacrale. “Prima di me” perché il progetto di Salvatore non sarebbe stato possibile senza tutto ciò che in quello spazio è passato prima di lui, compresa la sua stessa mostra di un anno e mezzo fa; “Prima di me” perché prima di ogni momento presentativo c’è tutto un lavoro di impalcature e ponteggi, che vengono abbattuti però sempre troppo presto per essere esteticamente valorizzati; “Prima di me” come suggestione più o meno conscia ancora una volta della parola biblica cristiana, ove però naturalmente all’ “io sono” del divino si sostituisce l’ “io non sono” dell’artista ancora una volta assente.
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The old tendency to rejection not only of authorship strong, but just as an act of artistic work itself, reduced to a minimum ratio; the ethical and spiritual form of the laceration on which healing affixes its clear balm nevertheless preserving the traces of the original fracture; highlighting what is not being staged, and even is hidden, yet it is the beforehand and aftermath of each show, almost developing new, yet unexplored, solutions of classical institutional critique: these are the reasons which are included in the new exhibition by Salvatore Manzi "Prima di me" (Before me), an operation that begins with signs incidental, involuntary, unsightly, but meet in every context of the exhibition that has a minimum of history, to go along with them and turn them into a macro-space -visual prominence through the bright yellow, impoverished version of gold, full of sacred imagery. "Before me" because Salvatore’s project wouldn’t have been possible without all that in that space has gone before him, including his own shows a year and a half ago; "Before me," because before every time there is a whole presentational work of scaffolding, that are felled but still too early to be aesthetically enhanced; "Before me" as a suggestion more or less conscious once again of the biblical word, but of course all "I am" of the divine replacing the "I am not " of the artist once again absent.
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