Salvatore Manzi, Non c'è trucco non c'è inganno, 2010, DVD loop 02:00
Salvatore Manzi in "Non c’è trucco, non c’è inganno (...), inscena il gioco dei tre bicchieri omettendo la canonica moneta di cui il giocatore dovrebbe indovinare la collocazione – il popolare slogan del titolo subisce così uno slittamento di significato: asserire che il trucco e l’inganno sono banditi non equivale qui, come avviene tradizionalmente, ad assicurare che tutto è regolare, ma ad evidenziare che insieme al trucco ed all’inganno è estromesso ogni possibile senso connesso al gioco stesso – vuole infatti costituire un attacco all’ossessiva ipostatizzazione della legalità, alla superficialità insita nel ridurre tanto l’agire morale quanto quello politico al binomio legale/illegale.
È l’ideologia di cui si alimenta in realtà gran parte del mondo politico, che propaganda gran parte del mondo mediatico e dietro cui soprattutto si scherma gran parte del mondo economico-finanziario. Le leggi razziali ed i campi di concentramento erano legali, tanti soprusi odierni che producono le morti per fame e per sete di milioni di esseri umani avvengono assolutamente nell’alveo della legalità. È un po’ il discorso sviluppato quasi vent’anni prima (1992) da una storica canzone degli Almamegretta, ‘O buono e ‘o malamente – «je so’ crisciuto senza manco st’opportunità / chello che faccio ‘o faccio sulo pe’ magnà / ‘ind’a chistu munne ce sta chi arrobba legalmente / e sfrutta tutt’ ‘e juorne a miseria ‘e ll’ata gente / e allora pecché pe’ tutta chesta gente / loro so’ bbuone e io so’ malamente?», canta Raiz, la voce del gruppo nella sua fase “eroica” –, ma infondo anche un approfondimento di quello già sviluppato quattro anni prima (2006) con Noitulover06. Ora come allora l’invito è a vedere oltre la vulgata dominante, a non fare propri dualismi rassicuranti ma in definitiva sterili, in quanto incapaci di portare allo zenit le mille sfumature di grigio della realtà". (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 87-88) |
|