ESC (Salvatore Manzi ), Cercasi iperartista, 1996, inserzione su Bric A Brac
Ma un artista non autore può produrre un’opera d’arte?
L’artisticità di un oggetto, spesso, fa i conti con la validità dell’autore, un buon autore detiene opere eccellenti, spesso firma ciò che è suo. In realtà un artista può sentire proprio il mondo intero, può essere autore di se stesso, degli altri, della creazione, del già esistente, del già fatto. Se un artista firma tutto quello che esiste, oltre ad accrescere la sua produzione artistica, afferma l’anonimato della creazione. La creazione è un’opera senza autore, priva di artisticità: è un’opera da firmare. Autenticare non equivale a creare: non creare significa non incrementare, non affiancare, mentre autenticare non equivale a non creare.
Un artista che rifiuta la propria creatività può essere creatore, poiché la creatività non esclude l’assenza, anzi la assapora, egli sublima la propria scomparsa autenticando la creatività esistente.
La firma non è altro che il simulacro di due autori scomparsi.
L’artista non creativo deve unirsi a quello creativo se desidera documentare l’improduttività, egli non svanisce nella folla, negli addensamenti, scompare solo nella potenza creativa esistente.
Non condivido i gruppi, la loro battaglia, i loro messaggi, non è necessario infrattarsi in una sigla, in uno pseudonimo collettivo.
Il gruppo ha valore solo se elabora una serie di collegamenti fra la produzione artistica e il mercato alternativo, il gruppo diventa interessante se propone un servizio. L’opera d’arte non si rinnova esclusivamente se nasce da più menti o da più mani, se è concepita da un iperartista, da un meccanismo interattivo o da una misteriosa setta estetica, non penso che la negazione della propria soggettività necessiti l’anonimato. I primi gruppi nascono come risposta al malessere culturale, ma soprattutto all’insofferenza individuale.
«Cosa devo fare la prossima volta?» A questa domanda segue sempre una risposta precisa, dettagliata, spesso assurda. L’artista non formula questa domanda se aspira all’assenza dell’opera, rifiuta di essere autore, ma autentica la creatività sospesa, l’artista assente è un altro artista. Sviluppare e rendere visibile un’idea estranea o affidare l’esecuzione di una richiesta ad altri non può bastare, il vero metodo per azzerarsi è rinunciare anche a quella domanda, non chiedersi ogni volta che cosa fare, non realizzare o far realizzare il comando ricevuto. Autenticare l’identità altrui l’unico mezzo capace di anticipare la storia, di guardare ciò che è distante, tutto quello che non vediamo non si identifica con noi, l’inesistente non si nutre del presente, il sapere individuale documenta ininterrottamente il momento attuale, la creatività sospesa, nella sua purezza, cambia identità. L’artista può scegliere tra due soluzioni: produzione attiva e inattiva. La soluzione attiva si finalizza nella produzione di un’opera priva di autore, la soluzione inattiva autentica l’opera sospesa.
Tratto dal manifesto di Salvatore Manzi Sono l'artista delle opere sospese (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 177-179)
L’artisticità di un oggetto, spesso, fa i conti con la validità dell’autore, un buon autore detiene opere eccellenti, spesso firma ciò che è suo. In realtà un artista può sentire proprio il mondo intero, può essere autore di se stesso, degli altri, della creazione, del già esistente, del già fatto. Se un artista firma tutto quello che esiste, oltre ad accrescere la sua produzione artistica, afferma l’anonimato della creazione. La creazione è un’opera senza autore, priva di artisticità: è un’opera da firmare. Autenticare non equivale a creare: non creare significa non incrementare, non affiancare, mentre autenticare non equivale a non creare.
Un artista che rifiuta la propria creatività può essere creatore, poiché la creatività non esclude l’assenza, anzi la assapora, egli sublima la propria scomparsa autenticando la creatività esistente.
La firma non è altro che il simulacro di due autori scomparsi.
L’artista non creativo deve unirsi a quello creativo se desidera documentare l’improduttività, egli non svanisce nella folla, negli addensamenti, scompare solo nella potenza creativa esistente.
Non condivido i gruppi, la loro battaglia, i loro messaggi, non è necessario infrattarsi in una sigla, in uno pseudonimo collettivo.
Il gruppo ha valore solo se elabora una serie di collegamenti fra la produzione artistica e il mercato alternativo, il gruppo diventa interessante se propone un servizio. L’opera d’arte non si rinnova esclusivamente se nasce da più menti o da più mani, se è concepita da un iperartista, da un meccanismo interattivo o da una misteriosa setta estetica, non penso che la negazione della propria soggettività necessiti l’anonimato. I primi gruppi nascono come risposta al malessere culturale, ma soprattutto all’insofferenza individuale.
«Cosa devo fare la prossima volta?» A questa domanda segue sempre una risposta precisa, dettagliata, spesso assurda. L’artista non formula questa domanda se aspira all’assenza dell’opera, rifiuta di essere autore, ma autentica la creatività sospesa, l’artista assente è un altro artista. Sviluppare e rendere visibile un’idea estranea o affidare l’esecuzione di una richiesta ad altri non può bastare, il vero metodo per azzerarsi è rinunciare anche a quella domanda, non chiedersi ogni volta che cosa fare, non realizzare o far realizzare il comando ricevuto. Autenticare l’identità altrui l’unico mezzo capace di anticipare la storia, di guardare ciò che è distante, tutto quello che non vediamo non si identifica con noi, l’inesistente non si nutre del presente, il sapere individuale documenta ininterrottamente il momento attuale, la creatività sospesa, nella sua purezza, cambia identità. L’artista può scegliere tra due soluzioni: produzione attiva e inattiva. La soluzione attiva si finalizza nella produzione di un’opera priva di autore, la soluzione inattiva autentica l’opera sospesa.
Tratto dal manifesto di Salvatore Manzi Sono l'artista delle opere sospese (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 177-179)