Salvatore Manzi, È lecito ad un artista passeggiare di sabato?, 2008, azione
Solo a partire dalla fine del 2008, con un’altra non poco sorprendente operazione, la performance È lecito ad un artista passeggiare di sabato?, sembra avere inizio un nuovo momento di intenso fervore creativo che attraversa gli anni successivi producendo un altrettanto nuovo ingente quanto multiforme come non mai – e dunque non sempre semplice da cogliere nei suoi tratti salienti – corpus di opere. Esso si configura, a ben vedere, alla stregua di un continuo intrecciarsi di fili di differenti colori, i quali ora interrompono il loro percorso ed ora ritornano a tracciarlo, senza escludere però che, già giunti ad un certo tratto, fili di nuovi, impensati colori entrino a far parte della composizione per la prima volta, determinando combinazioni sempre differenti: è presente la tensione verso il motivo spirituale, frequentemente confortato da citazioni e riferimenti biblici. [...] A poco più di un anno di distanza dalla personale Nascondiglio, ove per la prima volta è chiaramente percepibile l’intento di coniugare le consuete istanze sociali con il motivo evangelico, Salvatore torna dunque ad affrontare la specifica realtà del suo territorio alla luce del Nuovo Testamento ed a calare nelle contraddizioni del presente le vicende ivi narrate con È lecito ad un artista passeggiare di sabato?. Il riferimento è al passo di Luca in cui si narra dei farisei che rimproverano i discepoli perché attraversando un campo di grano raccolgono e mangiano spighe, azione non consentita di sabato, ai quali Gesù replica ricorrendo all’autorità di Davide, il quale non ebbe scrupoli ad entrare nella casa di Dio ed a prendere i pani dell’offerta per saziare la sua fame e quella dei suoi compagni. L’atto di disobbedienza, in quanto violazione di proprietà privata, che Salvatore compie percorrendo, munito di un ombrello al quale è applicata una torcia, affinché la sua figura risalti nel buio della sera autunnale, il perimetro di un campo inutilizzato – semplicemente in ciò consiste la performance –, ubicato nei pressi della sua abitazione di Casalnuovo di Napoli, si configura così, tanto più se si considera che quel terreno è di proprietà della Curia vescovile, come un’evidente allusione a quell’episodio evangelico, riaggiornandolo alla luce di un altro urgente bisogno, quello di spazi di aggregazione e rigenerazione pubblica per la cittadinanza, in un contesto che patisce appunto una grave carenza di essi. Da qui l’invito, formulato simbolicamente attraverso il gesto della “passeggiata sabatica d’artista” a restituire alla cittadinanza una porzione di verde, nell’ottica di una concezione della costruzione di una dimensione comune che proceda non alla stregua di un progetto studiato a tavolino e calato dall’alto, bensì di un processo partecipato e trasversale. Quasi una sorta di seguito beuysiano appare perciò il discorso che Salvatore, una volta completato il giro di campo, improvvisa stimolato da alcuni passanti che, tra il perplesso ed il curioso, si avvicinano a lui ed al piccolo drappello di spettatori – non più di una ventina di fedelissimi – per chiedere cosa stia succedendo. Egli risponde loro dapprima narrando e commentando, in maniera estremamente colloquiale e vivace – «Bisogna vivere la legge, non essere dei fiscalisti della legge», “fa dire”, ad esempio, a Gesù –, il racconto di Luca e quindi chiedendosi «oggi qual è il nostro sabato» in quanto frontiera etico-politica da trasgredire, per ricondurlo all’abbandono nel quale siamo soliti relegare tutto ciò che non si trova nella nostra area d’appartenenza più immediata. «Noi crediamo di essere strafottenti, ma non facciamo che rispettare alla lettera una legge che ci è stata imposta e ci induce a vivere come viviamo». Infrangere tale logica equivale al «tentativo di riappropriazione di una rete che in effetti è mia, è tua…» All’indomani della notte del 9 agosto 2011, quando in Via Strettola – ovvero nella stessa via ove sorge il campo della performance e dove Salvatore a quel tempo risiede – si è improvvisamente aperta una enorme voragine che ha inghiottito un camion con tanto di conducente, non ho potuto fare a meno di ricordarmi le parole che Salvatore ha pronunciato solo a qualche decina di metri dal luogo in cui sarebbe avvenuta la tragedia. (Taccone Stefano, ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 70-73)
L’artista non è un particolare tipo d’uomo, ma ogni uomo è un particolare tipo d’artista. Ne discende che ogni habitat o situazione hanno delle potenzialità estetiche che giustamente enfatizzate o riconosciute acquisiscono quel significato profondo a restituzione di un valore artistico inappellabile. Beuys, a me tanto caro, ricomparì con prepotenza nella performance È lecito ad un artista passeggiare di sabato? del 2008 e la cosa provocò in me un vero e proprio corto circuito spingendomi verso un’anomalia di conseguenze quasi irreparabili. Mentre Salvatore camminava lungo il perimetro di un terreno ai margini dell’urbanesimo, sormontato da un ombrello ad impersonare l’ombra di Beuys non più intento ad omaggiare l’arte al Castello di Rivoli, bensì un periferico interstizio di natura nel cemento, mi feci sorprendere dalla pulsione di andargli incontro e feci parte del tragitto con lui, parlando, domandando e rispondendo in piena autonomia e al contempo mettendo a rischio la sacralità stessa del gesto. Una performance nella performance della quale mi sentì profondamente mortificato, eppure non ero stato capace di dominarmi quasi a voler accompagnare Salvatore con l’ombra di Zak da me tanto interiorizzata. Fortuna volle che Salvatore potè ricostruire il video di testimonianza riuscendo ad estrapolare la mia intrusione. Punti di contatto tangenti quindi, brani di vita uguali percorsi in momenti diversi, interpretati col personale taglio che non contamina l’altro, ma che anzi, almeno per me, è occasione di crescita interiore. (UR50, in ExZak, Phoebus, 2014, Casalnuovo di Napoli, pp. 170-171)