Salvatore Manzi
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PROFILI SOCIAL E MESSAGGI CRIPTATI NELLE CATACOMBE PALEOCRISTIANE La primitiva storia delle immagini cristiane

8/26/2016

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L'iconografia cristiana, come infondo accade per ogni esperienza umana, prende a prestito dal passato, forme e funzioni. Questo processo avviene per strutturare un bisogno, quello di "segnare" una crescente consapevolezza esistenziale che trascina la propria vita e quella di numerose comunità verso un'esistenza nell'esistenza, un dischiudersi di promesse.
L'iniziale clandestinità fa diventare templi, domus ecclesiae, comuni abitazioni, il luogo santissimo non è più protetto dai boschi di colonne come negli antichi templi greci o come in quelli più recenti romani, non ci sono cortine inattraversabili come per gli ebrei.
Dove due o più si riuniscono nel nome di Gesù, il loro Cristo è in mezzo a loro rendendo santo quel luogo, i loro stessi cuori.
Il tempio del cuore purificato dalla nuova nascita.
Eppure l'esperienza di conversione dei primi cristiani non può considerarsi omogenea, non è frutto di una campagna mediatica, è la somma di numerosi incipit spirituali, tutto frammentato, tutto a pezzi, come esploso e non tutte le parti combaciano, anzi possiamo dire con certezza che non combaciano affatto.
Sopravvivono diverse istanze talvolta inconciliabili.
Non solo le abitazioni ma anche i cimiteri sotterranei, scavati nel tufo per proteggersi dalla persecuzione, diventano luoghi di culto. Proprio in questi spazi, seppur sempre in forma cifrata, si avvia la rappresentazione primitiva dei cristiani.
Le necropoli del periodo paleocristiano sono conosciute come “catacombe”, probabilmente dal nome del cimitero che si trovava sulla via Appia, non lontano da Roma, di fronte al mausoleo e al circo che l’imperatore Massenzio aveva fatto erigere per suo figlio nella località chiamata Ad catacumbas.
Le immagini sono quelle della tradizione romana.
Il tema della resurrezione è in forte contrasto con le atroci condanne degli adepti della Nuova Via. Quei corpi straziati, quel sangue versato, quelle vesti stracciate, non possono morire (finire), vengono conservate in reliquie e il ricordo delle loro sembianze viene ritratto sulle pareti dei luoghi di sepoltura. Tutto ciò che resta dei martiri è considerato sacro, morti santi e quindi ancora "utili" per i bisogni di chi resta.
I cimiteri, luoghi del sonno, prendono il nome dal martire che vi è stato sepolto.
Risulta quindi difficile definire una netta separazione tra l'arte romana pagana e l'inizio dell'arte cristiana, la sostanziale novità risiede nel contenuto iconografico, la cui simbologia tende a diventare ripetitiva.
Il Cristo viene rappresentato per la prima volta usando il soggetto del Buon Pastore (kouros classico), II secolo d.C., ma anche recuperando il motivo del filosofo barbuto, del giovane Apollo, in queste primitive rappresentazioni appare ancora sprovvisto di aureola.
I martiri via via vengono considerati "santi", i soli santi, o meglio quelli da venerare.
Una santità scaturita da un sacrificio estremo e non condizione di ogni credente nato di nuovo in virtù della grazia in Cristo Gesù. Non sono i santi che l'apostolo Paolo ha a cuore ed ai quali scrive le sue lettere.
Bisogna pur dire che questi primi reperenti iconografici sono stati realizzati da soggetti sprovvisti di una particolare cultura artistica. La loro funzione era sostanzialmente privata, clandestina e quindi anche svincolata dal peso e l'ambizione del misurarsi con il grande pubblico.
Pur considerando "nuova" l'esperienza religiosa dei primi cristiani, si evidenzia la necessità del tutto pratica di risolvere questioni elementari, quali ad esempio l'organizzazione dei culti e quindi il ricorrere ad una serie di rituali che solo nel tempo andranno a caratterizzarsi in una organizzazione più originale, unitaria e teologicamente considerata coerente.
I credenti del II secolo articolano un loro casellario, gli ambulacri, cuniculi, loculi, arcosoli, cubicoli, cripte e tricore che si disseminano lungo i percorsi delle catacombe possono considerarsi dei profili social "visitati" di utenti deceduti, dai quali evincono identità e caratteristiche.
Il divieto di rappresentare il sacro non è una priorità per queste comunità perseguitate, le loro immagini umane, floreali, paesaggistiche, geometriche, sono dunque fortemente simboliche, non sostituiscono il soggetto, lo ricordano, servono a non farlo svanire, a consolare, formano una griglia di riferimento ad un mondo spirituale che al momento è invisibile, indimostrabile e che quindi ha bisogno di forme e colori.
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Salvatore Manzi
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