Salvatore Manzi
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Casamadre

6/28/2013

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Quando Mimmo Paladino realizzò la sua Montagna di sale nel 1995 a Piazza del Plebiscito ero ancora uno studente dell’Accademia di Belle Arti. 
Napoli non era più quella che avevo vissuto al Liceo Artistico, anche il vicolo di Donna Regina era stato ripulito, via le siringhe sporche di sangue ed eroina, via anche la Pittura dell’Ottocento Napoletano dagli uffici barocchi delle istituzioni. 
Totonno ‘o fraulese, per l’Italia Bassolino, aveva portato l’arte contemporanea a Napoli. Basta con i vecchi cliché di una Napoli imbrogliona, gretta e polverosa, il vento dell’Europa soffiava forte, arrivava dal porto ed entrava in tutti i vicoli e dedali della città. Basta povertà, finalmente i soldi erano arrivati ed a prenderseli non era più la solita camorra, ma politici illuminati ed intellettuali appassionati di free jazz e minimalismo.
Mi avevano sempre detto che a Napoli l’arte contemporanea l’aveva portata Lucio Amelio, ma solo allora, Napoli, passo dopo passo, stava cambiando pelle.
Ieri ha inaugurato Casamadre nella ex  galleria di Amelio e più recentemente di Artiaco,
Eduardo Cicelyn è uscito illeso dall'emorragia economica praticata ai nostri territori dalle sue scelte culturali.
Dal Madre è passato a Casamadre, insomma sempre nei "suoi affetti" nei suoi profondi interessi.

OPENING, 27 giugno 2013
Mimmo Paladino
Jannis Kounellis
Anish Kapoor
Domenico Bianchi
Francesco Clemente
Antony Gormley
Barry Le Va
Michelangelo Pistoletto
Luciano Fabro 
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Tempo interiore

6/4/2013

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CASTEL SANT’ELMO
Tempo interiore
Rosy Rox

Rosy era sorridente all'inaugurazione, lo eravamo in tanti. Sembravamo felici, eppure, al posto delle lancette si muovevano coltelli. Ha pensato ad un tempo senza scampo, forse per questo interiore.
Forse il tempo esteriore è proprio quello dei sorrisi, delle congratulazioni, dei brindisi, della festa.
Dentro, le lame, si muovono con impulsi imprevedibili, vanno avanti e dietro, meglio prendere distanza.
Dentro il tempo, fuori da quel vento, da quel misterioso freddo di fine maggio.





Tempo interiore è l'opera dell'artista Rosy Rox che ha vinto la II edizione del Concorso Un'opera per il Castello 
Venerdì 24 maggio 2013 inaugura il progetto, che si ricollega allo “spirito del luogo”, ne ripercorre simbolicamente la memoria.
Crea un cortocircuito temporale (tra presente passato e futuro) passando per le varie epoche del castello e ricollegandosi al nostro presente.
Con un movimento circolare e tagliente, ripercorre varie fasi della repressione della libertà dell’animo umano.
Ripercorre i tracciati del dolore, della ricerca di libertà assoluta, scandisce un tempo dolorante.
Ci invita a una riflessione sulle crudeltà prodotte, tra le ombre della civiltà, nei confronti della diversità, dell’altro, della libertà di pensiero.

Un Gesto circolare che è, inoltre, contrassegno temporale, scansione della vita e della morte, che attraversa il crudele, l’atroce e il perverso: mondi sotterranei dell’umano, questi, da esplorare e da evidenziare per far risaltare la purezza dell’animo umano che coincide, sempre, con una sofferenza sottile. (A.Tolve)

Le lancette come passato presente e futuro si muovono in movimento circolare e caotico nei due sensi orario e antiorario creando una porta temporale che apre al percorso della coscienza come elaborazione diretta e non mediata di un insieme complesso di dati.
Lo scandire del tempo e la pausa silenziosa che ci porta a quell’aprirsi di infinite possibilità.
L’opera attraverso un’analisi sulla repressione crea una congiunzione simbolica tra passato e presente.
Il passato che si insinua nel contemporaneo attraverso continui rimandi, ci invita a riflettere sulla condizione del nostro presente.
(Rosy Rox)            

Rosy Rox, Napoli, Italia - vive e lavora a Napoli.

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Gods and Goddesses

6/4/2013

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Galleria PrimoPiano
Gods and Goddesses
ADELAIDE DI NUNZIO
a cura di Antonio Maiorino Marrazzo

Nel saggio Il sacro e il Profano Paolo Boringhieri ritiene che "L'uomo religioso sente periodicamente il bisogno di tuffarsi nel Tempo sacro e indistruttibile.  Per l'uomo religioso il Tempo sacro rende possibile il tempo ordinario, la durata profana nella quale si svolge ogni esistenza umana."  Non è certo nella desacralizzazione che l'uomo ritrova accettabile l'ordinarietà dell'esistenza.
Adelaide offri un tempo che è distante eppure immediato, superato ed allo stesso tempo fruibile. Descrivi la fragilità dell'uomo nello smarrimento della divinità.
Rassegnata è l'umanità che non considera ed immagina l'Eterno.




Sabato 18 maggio 2013 la Galleria PrimoPiano‘ presenta Gods and Goddesses,  un progetto di 24 immagini fotografiche di Adelaide Di Nunzio, che attraversano il mondo delle divinità classiche sondando gli archetipi maschili, femminili e bi-sessuati. La narrazione dell’artista prende avvio dalla constatazione della divaricazione tra il modello del mondo antico e quello contemporaneo. Le antiche icone diventano così, nell’originale interpretazione della Di Nunzio, simboli di decadenza e di una frattura insanabile.
Nel progetto di Adelaide Di Nunzio v’è questa necessità di attraversare quell’antica lacerazione che ha ferito e trasformato il mare nostrum in un luogo non più di transito di idee e di commercio ma in un mare silente e sovente di morte.  Una grande madre incombe solenne in queste opere e ne diviene una continua chiave di ri-lettura, quella madre che sempre giocherà un ruolo primario nel disegno della nostra identità culturale: la grecità. 
L’abilità della Di Nunzio è di riuscire ad arricchire di un senso nuovo quei risvolti impliciti delle storie delle divinità che non sono mai affiorate prima. Le sue interpretazioni degli dèi e delle dee sono un supplemento di senso.
Un esempio di questa capacità di cogliere il potenziale inespresso nella mitologia greca, romana o etrusca è nell’opera che rappresenta la dea Strenia che è simbolo del nuovo anno e insieme di prosperità e fortuna. Strenia si sovrappone, in un gioco di rimandi la cui indagine già profonde fascino con una sostituzione di significato, alla Janara costretta a contare i grani di sale che, nell’immagine che propone l’artista, si stagliano come strisce di cocaina e suggeriscono la decadenza e lo smarrimento. Allo stesso modo Zeus, colto in un ambiente viscontiano, appare soggiogato, senza più capacità di esercitare potere, un dio delegittimato e stanco,  pienamente italiano.
Si palesa ai nostri occhi la stasi dell’Olimpo al momento della cesura tra lo spirito apollineo e quello dionisiaco, un Adamo e una Santa (la Madonna) sono a guardia di questa divaricazione e di un monoteismo che non smette di esercitare la sua pressione assecondando quella apparente e funzionale inconciliabilità tra mondo razionale e mondo metafisico.
La Di Nunzio sonda gli archetipi del femminile e la natura bi-sessuata del divino. Apollo ha sulla punta della sua freccia un rosso giacinto (forse un cuore) che mira allo spettatore quale promettente minaccia d’amore nel ricordo di quello struggente che infervorò il dio delle arti per il giovane Giacinto che involontariamente ferì mortalmente in una gara di lancio del disco. Caronte rivela una natura femminile, immerso in un candore antitetico a quello della tradizione che lo rappresenta cupo e di una ferocia illuminata.
Lacan sostiene che “il simbolico è un foro”, un vuoto, un senso di assenza e le opere di Adelaide Di Nunzio hanno il pregio di riportarci a quell’assenza con grande maestrìa.

Adelaide Di Nunzio, Napoli, Italia - 1978, vive e lavora a Napoli, Italia

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Why? Because life…

6/2/2013

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Galleria Umberto Di Marino
Why? Because life…
JOTA CASTRO - ALBERTO DI FABIO - SATOSHI HIROSE -FRANCESCO JODICE - EUGENIO TIBALDI - SERGIO VEGA

Mi arriva un sms di Umberto Di Marino, inaugurazione Why? Because life, quasi quasi ci vado, chiamo Stefano, il telefono è spento. Antonio ma tu ci vai alla mostra da Umberto? No Salvatore sono troppo stanco torno a casa, ci sentiamo domani. Scendo di casa, c'è un vento fortissimo, compro due Giranapoli, pochi minuti e passa un bus per Piazza Carlo III, un altro fino a Cavour e poi la metro per Piazza Amedeo, Passo davanti al Pan, arrivo a via Alabardieri, salgo le scale, mitica chiacchierata con Umberto, saluto Maria, i figli sono diventati due giganti, arriva Eugenio  è con il suo bimbo, è bellissimo, Arriva anche Rosy, domani verrò al castello. Saluto Marianna e Vicienz e vado via.



La Galleria Umberto Di Marino presenta, giovedì 23 maggio 2013, Why? Because life…, sviluppando un discorso ad ampio raggio su questioni rimaste in sospeso, e che il nostro sguardo, per via dell’abitudine, non riesce più a intercettare. La mostra, attraverso un percorso articolato, innesca un dialogo tra coppie di artisti complementari, partendo da una concezione dell’universo inteso come natura benevola e incorrotta, per poi focalizzarsi sulla storia che l'uomo con il suo agire ha scritto per se stesso, lasciando tuttavia aperta la possibilità di un riscatto, di un ritorno alla sua autenticità.
Satoshi Hirose e Alberto Di Fabio, affascinati entrambi dalla natura e dall’esperienza del viaggio come confronto e accrescimento, s’incontrano a metà strada tra Oriente e Occidente, partendo da culture diverse che finiscono per fondersi nell’analisi della realtà umana e naturale, estendendo la direzione del loro pensiero verso l’infinito, l’oltre.
Così Beans Cosmos di Satoshi Hirose ricostruisce un micromondo attraverso una costellazione di diversi tipi di legumi, riconducibili a popoli distanti eppure accomunati da quell’alimento ancora oggi fondamentale per il loro sostentamento. Parallelamente Splash cosmici e Nebulose di Alberto Di Fabio, attraverso i quali ci si abissa nella profondità della materia costituita da una moltitudine di particelle in continuo divenire, ci guidano in una dimensione che accosta il micro e il macro, il punto zero della creazione e il disfacimento della forma.
Sergio Vega ed Eugenio Tibaldi conducono, invece, un’attenta riflessione sui risultati estetici del territorio alterato dall’uomo e, con sguardo amaro e ironico, realizzano opere dal sapore di cronaca diaristica. Sergio Vega, nell'intraprendere un viaggio nel Mato Grosso, ci rivela il disinganno e le contraddizioni del Modernismo, in una continua lotta tra purezza della natura e mancanza di progettualità estetica degli imponenti edifici borghesi a ridosso delle abitazioni popolari. Con il lavoro Spostamenti verticali all’interno della stessa classe sociale, Vega inverte di segno questa condizione di disparità, simbolo di un diverso status sociale, e seziona alcuni scatti realizzati nei quartieri contadini per poi ricomporli assemblandoli verticalmente, in una salvifica e più giusta ascesa sociale. Ad altre latitudini lo spazio nel quale prendono forma le indagini di Eugenio Tibaldi, per l'installazione Sea Side, è quello dell'area costiera partenopea segnata dal degrado, legata a dinamiche illecite, che si sviluppa in modo spontaneo secondo le esigenze della popolazione, assumendo però, grazie alla sua forza produttiva, un ruolo più importante rispetto alla metropoli.
Tibaldi analizza così le potenzialità di questo territorio, ricercando nel suo caotico sviluppo una nuova forma estetica.
A questa riflessione si allaccia il filo che lega insieme le opere di Jota Castro e di Francesco Jodice, tese a cristallizzare esempi emblematici delle attuali criticità della condizione umana. Jota Castro, indagando gli squilibri e le debolezze della società, mette in luce le assurdità del sistema e ne denuncia così i fallimenti. Con l'opera Because the life, la barca, simbolo dell'esplorazione e della ricerca di mondi diversi, si affolla dei ritratti accartocciati di tanti che, spinti dal desiderio di migliorare la loro esistenza, hanno perso la vita nell’intraprendere un angoscioso “viaggio della speranza”. Essa diventa la triste allegoria delle aspettative deluse, del sogno che conduce alla negazione della vita.
Nel filtrare attraverso l’arte i fenomeni culturali e sociali, anche Francesco Jodice, con sguardo lucido e attento, ne intercetta le alterazioni e lo spaesamento. Il lavoro The Room smonta le certezze visive dello spettatore e, attraverso l’uso dei quotidiani, abbandona la fotografia, nega l’immagine, restituendoci una complessa raffigurazione dell’Italia di oggi: <<un mosaico di “saperi che emergono dal buio” e ci racconta l’umore del Paese in uno dei suoi momenti più neri. Letteralmente>>. Eppure, nonostante quest’operazione, la griglia creata ricorda la monumentalità dei suoi singolari edifici, mentre la rimozione dei volti sottolineata dal nero che azzera e cancella, diventa il punto dal quale è possibile ripartire, riscrivere una nuova storia.

Jota Castro, Lima, Perù – 1964, vive a lavora a Brussels, Belgio
Alberto Di Fabio, Avezzano (AQ) – 1966, vive e lavora a Roma
Satoshi Hirose, Tokyo – 1963, vive e lavora a Milano e Tokyo
Francesco Jodice, Napoli – 1967, vive e lavora a Milano
Eugenio Tibaldi, Alba (CN), Italia – 1977, vive e lavora a Napoli
Sergio Vega, Buenos Aires – 1959, vive e lavora a Gainesville (FL), USA
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